Caspar David Friedrich – Il senso dell’Infinito

Caspar David Friedrich – Il senso dell’Infinito

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Caspar David Friedrich, nato in Alta Sassonia, contempla nei suoi dipinti lo spazio e la natura dei luoghi della propria vita. Non trovando nella pittura tedesca precedente punti di riferimento congeniali alla sua sensibilità (perché l’interpretazione del paesaggio era soggetta al filtro dell’idealizzazione) Friedrich si rivolge alla tradizione fiamminga. La sua immersione nel clima del Romanticismo e della cultura germanica lo porta ad avere, con il paesaggio, un rapporto del tutto nuovo: la partecipazione commossa del soggetto, il senso dell’infinito e del mistero che porta con sé una quantità di simboli, di allegorie, di evocazioni.

Nel contempo tutto in Friedrich è perfettamente definito nel culto dell’equilibrio formale, ogni particolare svolge un preciso ruolo, imposto dall’ordine di una visione pura e trasparente poiché tutto è costruito nel rispetto di una verità che è contemporaneamente lirica e razionale insieme. In tal senso egli è anche erede del Classicismo ed è forse per questa razionalità che Friedrich è stato forzatamente annesso, da certa critica, al pensiero illuminista. In realtà la sua pittura scaturisce da un intenso moto sentimentale, da un afflato religioso. La natura è il manifestarsi di Dio poiché è pervasa da forme che a Dio rimandano. Da protestante, in una lettera del 1820, Friedrich scrive: “il divino è ovunque, anche in un granello di sabbia; una volta l’ho raffigurato in un canneto”; ma in un’altra esprime questo pensiero: “Il pittore non solo deve dipingere ciò che vede davanti a sé, ma anche ciò che vede in sé” e poi “chiudi i tuoi occhi corporali, per vedere tu per primo il quadro con i tuoi occhi spirituali” e ancora “l’unica vera sorgente dell’arte è il nostro cuore, il linguaggio di un animo infallibilmente puro. Un’opera che non sia sgorgata da questa sorgente può essere soltanto artificio. Ogni autentica opera d’arte viene concepita in un’ora santa e partorita in un’ora felice, spesso senza che l’artista ne sia conscio, per l’impulso interiore del cuore.”Il pensiero di Friedrich è avvicinabile ad un filosofo del Romanticismo tedesco come Novalis (1772-1801) e ad espressioni dell’arte appartenenti ad una comune radice culturale, per esempio alla prosa lucidissima di Heinrich von Kleist (1777-1811, poeta e scrittore tedesco rappresentante principale della letteratura romantica) o ad un musicista come Franz Schubert (1797-1828) che in un lied (letteralmente “canzone”, pura composizione vocale solistica di origine popolare nata in Germania all’inizio del Seicento) canta il tema del viandante e del viaggio in forme musicali perfettamente classiche.Nel 1818 Friedrich aveva dipinto il “Viandante sul mare di nebbia”, capolavoro dell’intero Ottocento, dove all’idea di homo viator (ispirato all’immagine cristiana dell’uomo come pellegrino sulla terra) si unisce quella della sua solitudine davanti a Dio, simboleggiato dal monte azzurrino che si profila sullo sfondo. Il suo personaggio volge le spalle all’osservatore e la propria solitudine, in tale atteggiamento, aumenta. La figura si sporge su un paesaggio avvolto dalla nebbia che “sembra più grande e sublime, potenzia l’immaginazione e crea attesa come una giovane donna attraverso un velo”.Qualcosa di analogo si osserva nelle “Bianche scogliere di Rügen” del 1818.Il fascino di Friedrich consiste nella sua vibrante capacità poetica, unita alla purezza formale e cromatica. La natura è sede del sovrannaturale e nel quadro “Le tre età” del 1834, dove il pittore si autoritrae da tergo insiemi ai figli ed al nipote, si celebra la vita oltre la morte. Tutto è studiato perché il principio della simmetria venga immediatamente colto dall’occhio dell’osservatore: le navi si avvicinano alla riva. Le piccole corrispondono ai bambini, le maggiori agli adulti, il che significa che i giovani hanno una vita ancora lunga davanti a sé prima di giungere all’approdo. Il veliero maggiore, in diretta corrispondenza con Friedrich stesso, è invece il più vicino alla riva. Il pittore, visto di spalle, indossa un polveroso abito fuori moda ed è simile ad un anziano militare che, dopo aver combattuto molte battaglie, voglia rimeditare tutta la sua vita e consegnarla ai suoi discendenti. Accanto a lui, per terra, due pezzi di legno formano una croce che ricorda quella di Cristo.

Nel “Mare di ghiaccio” del 1823/24 l’uomo non compare più e tutto lo spazio è occupato dal blocco di ghiaccio. Il fondo è realizzato con nitidissima trasparenza di contorni. Il quadro allude ad un naufragio realmente accaduto pochi anni prima, che diviene la parabola della sete di conoscenza e di avventura destinati a confrontarsi con l’eternità di Dio. Non è possibile che, eseguendo questo bellissimo quadro, nella memoria del pittore non fosse affiorato il ricordo dell’episodio più tragico della sua vita. Aveva tredici anni quando, pattinando, il ghiaccio si ruppe: fu salvato dal fratello Johann che morì annegato al posto suo.La massa scheggiata dei ghiacci si innalza come una cattedrale inghiottita lasciando affiorare il relitto di una nave. Ma oltre i ghiacci taglienti del primo piano e dello sfondo, vibra una luce azzurra che è da intendersi simbolicamente come fonte di speranza.(M. Bona Castellotti, Storia dell’arte, vol. 4– Electa Scuola, Milano 2008)   

 

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